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- Cosa è il bounce rate
- Frequenza di rimbalzo: come stabilire dei benchmark
- Benchmark interno e analisi della concorrenza
- I fattori che influenzano il bounce rate
- 1. Pertinenza degli annunci e delle parole chiave con i contenuti che offri
- 2. Esperienza di navigazione
- 3. Fiducia nel brand
- 4. Advertising sulle pagine del tuo sito
- Leggere correttamente la frequenza di rimbalzo
Di Bounce Rate, o frequenza di rimbalzo che dir si voglia, mi è capitato di parlare più volte in questo blog, anche in relazione al PPV. Se ci ritorno, è grazie alla lettura recente di alcuni articoli interessanti sul tema, sia dal punto di vista della reale consistenza e della correttezza del calcolo che vede in questa metrica il rapporto tra sessioni senza interazioni e totale delle sessioni, sia dal punto di vista della corretta interpretazione da dare a questa metrica in rapporto alla propria attività sul web.
Da leggere: Bounce Rate e PPV: cosa sono e come leggerli
Tra i contributi più intelligenti che mi è capitato di leggere di recente, c'è sicuramente da annoverare quello (non recentissimo, per la verità) di Paul Koks che su Online-Metrics.com rende finalmente giustizia a proposito della tipica domanda che ogni web marketer e imprenditore minimamente addentro alle segrete cose della web analytics si è posto almeno una volta nella vita: «Come devo considerare il mio bounce rate? È alto o basso?».
L'articolo, lo dicevo, è interessante e soprattutto denso di spunti per fare nuove riflessioni sul tema del bounce rate, che vorrei condividere con voi.
Cosa è il bounce rate
Cominciamo con lo spiegare cosa è esattamente il bounce rate.
Solitamente, per semplificare, si definisce come bounce rate la percentuale di persone che è entrata nel tuo sito e ha visitato una sola pagina.
La definizione, sebbene comprenda in sostanza la quasi totalità della casistica, non è però del tutto accurata.
Più accurato sarebbe dire che il bounce rate corrisponde alla percentuale di sessioni che si chiude senza che si sia registrata alcuna interazione tra l'utente e la pagina stessa.
La differenza è sottile, ma c'è. Immagina infatti ad esempio un sito monopagina.
Potremmo dire che quel sito ha necessariamente un bounce rate del 100%?
Niente affatto!
Di certo, sapremo che l'exit rate di quella pagina è pari al 100% - essendo l'exit rate la percentuale di sessioni che si chiudono proprio in quella specifica pagina. Tuttavia, nella pagina potrebbero esserci dei form di registrazione, o dei link che rimandano ad altre pagine (immagina il classico caso di un sito corporate che rimandi a dei siti specifici di brand). Ogni utente che utilizzi uno qualsiasi di questi elementi per interagire con la pagina in questione genererà un evento che Google Analytics potrà leggere (ammesso che glielo si spieghi, ovviamente) come una interazione, inserendo quindi la sessone nel novero di quelle "unbounced".
In questo modo, ad un tasso di uscita del 100% potrebbe corrispondere qualsiasi valore di frequenza di rimbalzo, anche lo 0%!
Frequenza di rimbalzo: come stabilire dei benchmark
Fatte queste doverose premesse, utili per comprendere l'argomento di cui stiamo parlando, possiamo andare avanti.
Esiste un valore "buono" per la frequenza di rimbalzo? È davvero necessario un lavoro di ottimizzazione per migliorare questa metrica?
Iniziamo col dire che in alcuni casi la frequenza di rimbalzo non dovrebbe nemmeno essere analizzata come metrica chiave, per lasciare il posto a misure più importanti, quali ad esempio il tasso di conversione e il costo medio di generazione di un lead.
Vero è, però, che nella maggior parte dei casi un valore non elevato di frequenza di rimbalzo vuol dire un maggiore engagement del nostro pubblico, o anche una buona manifestazione di interesse per i nostri prodotti o servizi. Insomma, il bounce rate - purché correttamente interpretato e inserito nel suo contesto - diventa una delle misure di cui tenere conto, quando vogliamo capire se e come il nostro sito riesce a coinvolgere il nuovo arrivato e a guidarlo lungo un percorso di conversione.
Per questo è importante, peraltro, non guardare alla frequenza di rimbalzo come a una misura media lungo tutto il sito, ma determinarne il valore quantomeno per settore di attività o per tipologia di pagina. In questo modo potremo osservare se il comportamento dei nostri utenti è omogeneo lungo tutto il nostro sito, o se ci sono sezioni, categorie o pagine che richiedono una maggiore ottimizzazione ai fini di stimolare un maggiore coinvolgimento e, in ultima analisi, un miglior tasso di conversione.
Ma non è tutto.
A mio parere, è quanto mai sensato guardare alla frequenza di rimbalzo dal punto di vista del canale di acquisizione.
Soprattutto in alcuni ambiti, è evidente che il tasso di conversione varierà sensibilmente sulla base di alcune qualità specifiche di ogni canale e del modo specifico in cui lavorano per ciascun canale le logiche di acquisizione di nuovi utenti. È evidente, ad esempio, che non potrò mai aspettarmi le stesse frequenze di rimbalzo per i canali inbound più spontanei e per quelli di interruption marketing a pagamento - soprattutto, poi, se la qualità delle nostre campagne di marketing non è eccelsa e il messaggio dovesse rivelarsi equivoco.
Benchmark interno e analisi della concorrenza
Quindi: la metodologia più corretta per determinare dei benchmark sulla frequenza di rimbalzo che possano servirci un domani per lavorare sull'ottimizzazione dell'engagement e del tasso di conversione dei nostri siti web dovrebbe tener conto quantomeno delle diverse tipologie di pagina che lo compongono e del canale di acquisizione del traffico.
Ad esser raffinati, poi, ci sarebbe anche da distinguere i nostri utenti sulla base della tipologia specifica (nuovi e di ritorno, per intenderci), ma non vogliamo essere troppo sottili, perché rischieremmo in molti casi di perdere efficacia operativa nelle nostre misurazioni, senza parlare dell'affidabilità statistica di un dato così segmentato per siti con traffico non elevatissimo.
Agendo per segmenti, potremo invece riuscire a fissare una serie di misurazioni che andremo poi a confrontare nel tempo, mese su mese o anno su anno, per verificare i passi avanti (o indietro) effettuati nei nostri processi di ottimizzazione interna (flusso di navigazione) ed esterna (keywords, advertising...) del nostro sito.
Tuttavia, ci manca ancora una informazione importante: come devo considerare il mio bounce rate in relazione al mio mercato di riferimento?
Ancora una volta, è Google Analytics a darci una mano.
Proviamo ad andare in Pubblico > Analisi comparativa.
Qui troveremo finalmente ciò che ci serve: se abbiamo impostato correttamente il nostro settore di attività nelle impostazioni di Google Analytics, vedremo come si comportano i nostri competitor nel nostro Paese in relazione ad alcune metriche fondamentali per l'analisi del nostro traffico web, inclusa la frequenza di rimbalzo.
Non dovremo far altro, quindi, che analizzare se e come i nostri dati si distinguono rispetto al nostro mercato di riferimento (e alle dimensioni di traffico generate dal nostro sito web), e sapremo, per così dire, "come stiamo messi" rispetto alla media nazionale.
Che poi questa sia o meno una comparazione interessante, sta ad ognuno di noi stabilirlo sulla base delle caratteristiche del nostro sito web e della nostra specifica strategia di web marketing.
Ogni sito, ricordalo sempre, fa storia a sé, e andrebbe più visto in se stesso che in relazione ai suoi competitor.
I fattori che influenzano il bounce rate
I motivi per cui il tuo bounce rate assume valori più o meno elevati possono essere moltissimi. Elencarli qui tutti sarebbe impossibile. Proviamo però a vederne alcuni.
1. Pertinenza degli annunci e delle parole chiave con i contenuti che offri
Questo è uno dei più frequenti fattori chiave per un bounce rate elevato. Se le tue parole chiave non sono impostate correttamente (nella ricerca organica, ma soprattutto nella SEM) avrai un elevato rischio di rimbalzi dovuti a pura e semplice mancanza di interesse per i tuoi contenuti.
2. Esperienza di navigazione
Un pessimo design, delle landing page che non siano accattivanti o che non catturino subito l'attenzione del nuovo visitatore per soddisfare le sue aspettative: in tutti questi casi, il rimbalzo dalle tue pagine sarà pressoché assicurato.
Ricordati che non deve essere solo il tuo marketing di acquisizione ad essere ottimizzato per generare traffico, ma anche il tuo sito di destinazione deve essere strutturato per mantenere il traffico in arrivo sul tuo sito, interessarlo, coinvolgerlo e, alla fine, generare una conversione.
3. Fiducia nel brand
Come si sentono i visitatori quando approdano sulle tue pagine? Il tuo brand ha una buona reputazione sul web, recensioni positive, punteggi elevati? In caso contrario, non stupirti se la gente scapperà via da te...
4. Advertising sulle pagine del tuo sito
Il troppo stroppia. Una pagina con un uso eccessivo di pubblicità o con advertising troppo invasivi non favorisce una buona impressione da parte degli utenti. Anche in questo caso, aspettati un bounce rate elevato.
Leggere correttamente la frequenza di rimbalzo
Spero di averti dato una mano, con questo articolo, a leggere in modo più critico e consapevole il dato percentuale della frequenza di rimbalzo. Un numero che, come abbiamo visto, in senso assoluto può avere anche poco significato, ma che lo acquista nel contesto del tuo mercato, della struttura del tuo sito web e dei tuoi sforzi di ottimizzazione dei percorsi di acquisizione e di conversione.
Una metrica, in ogni caso, di cui (quasi sempre) non si può non tenere conto.