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«Quando un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile, quello col fucile è un uomo morto».
Chi non ricorda questo "proverbio messicano" messo in bocca a Ramón Rojo da parte di un ispiratissimo Sergio Leone?
Ramón, si sa, fece una brutta fine. Qualche tempo dopo aver spiegato questa massima all'Uomo senza Nome (Clint Eastwood), finì impallinato da quest'ultimo proprio a suon di pistolettate. Ma si sa: l'Uomo Senza Nome non sbagliava mai.
Perché ti ricordo questa storia?
Perché mi è capitato, ultimamente, di venire impallinato un po' come Ramón (in modo fortunatamente meno cruento), per aver pronunciato la stessa frase, seppure con un paio di termini cambiati.
Dicevo, illustrando la slide che vedi riprodotta qui sotto, che a morire (virtualmente, si sa) è un uomo con le parole, ogni volta incontra un uomo coi numeri.

Apriti cielo!
Si è scatenata una ridda di commenti - tutti gentili, tutti moderati e tutti argomentativi, ma tutti fermi nel sostenere l'ipotesi esattamente contraria: che sia l'uomo coi numeri a morire, quando incontra un uomo con le parole, o che al limite l'uomo coi numeri deve conoscere anche le parole, per poter argomentare dei numeri che altrimenti resterebbero sterili e senza alcun costrutto.
Uomini di parole e uomini di numeri
Ora, intendiamoci. Non è che sia rimasto particolarmente colpito da quelle critiche. Anche perché, personalmente, io mi considero una figura abbastanza intermedia tra le due.
Quando facevo ricerca in ambito storico, il mio compito era raccontare in modo argomentativo i dati e le fonti che ritenevo interessanti ai fini della mia ricerca.
Facendo marketing, in pratica faccio la stessa cosa: solo che ai dati delle fonti storiche ho sostituito i dati delle mie campagne di direct advertising e quelli dei siti web di cui gestisco gli analytics.
Ciò che veramente mi ha stupito (ma fino a un certo punto) è come non sia stato subito chiaro cosa intendessi dire con le mie parole: che l'unico modo di contrastare la chiacchiera dilagante in questo mondo fatto di Opinionisti Senza Nome, di fuffa, di parole gettate al vento e ricondivise sui social media sia proprio il ricorso al dato quantitativo e all'analisi scientifica come unica ferma certezza da cui partire.
Accade continuamente nelle aziende, dove l'HiPPO o il direttore centrale di turno hanno idee meravigliose per apportare miglioramenti al sito web aziendale o alla tale campagna di marketing, e dove il ricorso ai dati e ai test effettuati rappresenta l'unico freno in grado di dimostrare loro che hanno torto, e che apportare la loro modifica porterebbe a un crollo verticale del tasso di conversione.
Accade continuamente anche nella vita di tutti i giorni, dove una certa tendenza all'allarmismo autocompiacente finisce per far dilagare a macchia d'olio (sui social media, ma non solo sui social media) stupidaggini incontrollate.
Vuoi una prova?
Parliamo allora della recentissima questione della carne rossa lavorata, indicata dall'OMS come cancerogena.
Non credo di doverti raccontare com'è andata: a meno che tu non sia appena tornato da un viaggio sulla Luna, saprai sicuramente del livello di allarmismo cui si è giunti, con conseguenze economiche anche importanti - complice un subitaneo calo del consumo di carne rossa (tutta la carne rossa, non solo quella lavorata, chissà poi perché) intorno al 20%.
Di che mettere in ginocchio un'economia.
Ebbene, cosa dicono i numeri esposti dall'OMS?
Dicono che, se si mangiasse tutti i giorni 50 grammi di carne rossa processata (traduzione: un paio di würstel) si finirebbe per avere il 18% di probabilità in più di contrarre il cancro al colon retto.
Detta così, fa paura, non è vero?
La disattenzione per il denominatore
Eppure, siamo di fronte a un classico caso di bias psicologico, di quelli descritti sapientemente da Daniel Kahnemann nel suo Pensieri Lenti e veloci
, e in particolare davanti a un uso sapiente del bias della disattenzione al denominatore per rafforzare con numeri presentati ad arte la convinzione già presente in molti di noi che la carne rossa faccia male.
Cosa dice questo bias?
Dice sostanzialmente che noi reagiamo in maniera differente, a seconda del modo in cui un dato ci viene presentato.
In pratica, il format con cui viene presentato un dato ha un potere specifico, che può essere manipolato in modo sapiente per ottenere uno scopo, come quello di generare titoli sensazionalistici o portare acqua al proprio mulino (cosa che è accaduta immediatamente, complice anche lo slittamento del soggetto dalle "carni lavorate" alle "carni rosse" in generale).
Il sensazionalismo di certi parolai e il rifugio sicuro dei numeri
Nella fattispecie, il dato dell'OMS andrebbe calato nel contesto, che dice: un italiano medio ha il 4% delle probabilità di contrarre il cancro al colon retto. In caso di consumo maniacale di carne rossa lavorata, questa probabilità aumenta del 18%.
Quindi, diventa del 22%?
Niente affatto!
Diventa del 18% applicato al 4%. Insomma, passa da 4% a 4,72%.
Ora, mi chiedo: che sarebbe successo se i giornalisti e gli Opinionisti senza nome avessero presentato la cosa, spiegando che la probabilità di contrarre il cancro sale dello 0,72%?
Esatto: un bel nulla.
Per cui, al fine di gonfiare la notizia (ognuno per i suoi fini), l'uomo di parole manipola abilmente la realtà, e tutti immancabilmente ci cascano, fino a quando... non arriva un uomo di numeri (nel caso specifico in un articolo pubblicato sul sito di Scuola di Ancel, che ti consiglio di leggere) a mettere le cose a posto.
Il marketing dei numeri
Chiusa la parentesi sugli insaccati, torniamo ora all'ipotesi iniziale, che è quella che più ci preme. E che dice che, in un mondo fatto di imprese che vedono (giustamente) nel controllo di gestione il focus della propria attività, e in cui ad un costo certo deve corrispondere possibilmente un altrettanto certo ricavo, fare marketing vuol dire attivare degli strumenti in grado di fornire un impulso consistente alla barra dei ricavi, o quantomeno lavorare a delle attività che siano in grado di far conseguire dei vantaggi competitivi all'impresa nel medio periodo (il che è la stessa cosa).
Poi capisco, per carità, che attività come la gestione di un blog aziendale o di una community possano essere viste in modo più romantico da parte di chi svolge queste funzioni per conto o all'interno di un'impresa.
Tuttavia, alla fine dei giochi anche queste attività non possono che essere analizzate a partire da una misura oggettiva dei benefici che portano all'impresa, sia pure come brand awareness (sì, anche quella è misurabile) o come contributo indiretto alle vendite - senza parlare del customer service.
Mostrami un'impresa che non inserisce queste voci nel proprio piano economico, e ti dirò che sto sbagliando tutto.
Permettimi però, nel frattempo, di insistere nella mia ipotesi iniziale: che in un mondo in cui ci si dovrebbe basare su logica e razionalità per prendere le nostre decisioni e valutare i fatti, i numeri sono i nostri migliori amici.
Con buona pace delle parole.
E adesso impallinatemi pure con i vostri commenti.
Non ho abbastanza esperienza e le conoscenze per sostenere una o l’altra causa in modo netto, ma forse è proprio questo l’errore, a mio modesto avviso, le parole e i numeri devono “interagire” per completarsi.
Studiare un Titolo Efficace e rivolgersi al Target sbagliato è un esempio chiaro di come le belle parole non portano i numeri sperati.
Studiare i numeri riferiti a un argomento che si vuole trattare e abbinare la giusta strategia di copywriting aumenta notevolmente il conseguimento di un obbiettivo.
Quindi, parole e numeri devono camminare in simbiosi.
Anche io sono per la via di mezzo Fabio, ma ancora ho tanta strada da fare, e ringrazio te e quanti ogni giorno danno indicazioni su tanti argomenti.
Ciao e buon lavoro.
Ciao Rinaldo,
approfitto del tuo commento per chiarire: non è che qui stiamo facendo la battaglia dei numeri e delle parole. Ci mancherebbe!
Nel marketing, la creatività, il copywriting e lo storytelling sono strumenti essenziali: se non ci fossero, non ci potrebbe essere il marketing stesso. Arriva il punto, però, in cui tutti gli sforzi creativi devono essere sottoposti a misura: altrimenti non sapremo mai in che direzione procedere. Chi invece si affida alla spannometria e alla prosopopea per convincersi (e convincere) della bontà delle proprie idee potrà avere fortuna qualche volta, o magari un intuito formidabile, ma non saprà mai se c’era “di meglio” oltre le sue idee.
Ecco, questo è il mio pensiero.
Grazie Fabio
Per una neofita del web marketing come me è importante avere delle fonti di in-formazione come te. In questo momento storico in cui social media e simili stanno entrando a far parte delle possibili vie da esplorare anche per le aziende italiane ritengo sia fondamentale basare le scelte di marketing e le analisi conseguenti sui numeri. Sarebbe un bel modo per arginare il dilagare dei venditori di pura fuffa.
A presto
Daniela
Grazie a te, Daniela!
Purtroppo tra i piccoli imprenditori italiani, soprattutto se di una certa età, i numeri e le statistiche non vanno molto di moda… ecco perché, in fondo, finiscono preda dei fuffaroli.
Ciao Fabio! Sono perfettamente d’accordo con te. I numeri servono per interpretare la realtà in modo che possa essere ricondotta a criteri oggettivi. La realtà si percepisce, quindi è soggettiva, la verità si determina (verdetto per esempio è quello che una giuria riconosce essere vero, in maniera arbitraria sulla base però di prove certe). Per determinare la verità sono quindi necessarie prove, cioè numeri o fatti certi, che talvolta alcuni provano a mistificare agendo sulla percezione che è soggettiva e quindi sensibile alle parole. Il giro è complicato ma chiaro. Purtroppo però quanto esposto non necessariamente porta ad una conclusione chiara quando l’uomo con le parole incontra quello con i numeri.
Alla fine, speriamo che si incontrino solo per fare due chiacchiere davanti a una birra. 😀
Fabio CONGRATULAZIONI. Questo articolo è speciale e mi piacerebbe usarlo con i miei clienti che si stupiscono perché parlo di obiettivi misurabili quando affronto un blog, di report ogni 3 mesi il primo anno per valutare come stiamo andando e di “sensazioni misurabili”. Il nostro mondo, a mio avviso, è costituito da parole e se non sono messe bene, scritte bene e portano l’utente ad un’azione tanto vale non usarle e di numeri perché mi accorgerò solo attraverso la misurazione di un fenomeno se quelle parole hanno fatto centro. E’ che l’uomo con le parole e quello con i numeri si avvicinino e vadano a farsi insieme uno spritz al bar…ne vedremo delle belle!
Ciao Giulia, ti ringrazio tantissimo per i complimenti.
È così: le parole sono il sale di questo mondo, e proprio per questo una risorsa preziosa, da non buttare al vento trasformandole in chiacchiera incontrollata. È qui che i numeri, la logica, il metodo scientifico trovano la propria ragion d’essere. Nel marketing, come nelka vita.
Condivido pienamente!