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Chi mi conosce o frequenta assiduamente questo blog, avrà capito sicuramente due cose del sottoscritto. La prima, è che ho un approccio al marketing quanto più possibile lontano dall'improvvisazone e dalla spannometria. Logica, analisi dei dati e rigore statistico costituiscono per me la base necessaria per prendere decisioni e compiere scelte nella gestione del mio lavoro. La seconda, è che non sono un grande amante dei social "visuali" o basati sulla condivisione di immagini. Ho anche io i miei profili Instagram e Pinterest, certamente, ma non ho mai usato questi social a livello professionale, e se mi dovesse in futuro capitare di farlo, sicuramente mi rivolgerei ad un esperto per affiancarmi in questo tipo di attività.
Questa lunga premessa, solo per dire che finora non mi è mai capitato di scrivere su Instagram - proprio per una questione di scarsa competenza in materia, che non ho difficoltà ad ammettere (nessuno è un tuttologo, del resto) e che ovviamente rappresenta un freno del tutto bloccante, dato che non ho l'abitudine di parlare di cose che non conosco.
Una volta tanto, però, vorrei fare una piccola eccezione e parlare invece del social media delle immagini condivise. Il perché è duplice: da un lato, perché l'argomento che vorrei introdurre qui riguarda forse più la fruizione di Instagram come "utente consapevole", più che come marketer.
Dall'altro, perché riguarda la mia passione di sempre: l'analisi quantitativa.
La scienza di Instagram
Parliamo allora di analisi quantitativa applicata a Instagram, e facciamolo a partire da uno studio che ha stimolato il mio interesse (e solo per questo te ne parlo), pubblicato recentemente da Dan Zarrella di Hubspot sul suo blog personale sotto il fascinosissimo titolo The Science of Instagram.
Lo studio, condotto su oltre mezzo milione di utenti Instagram (e su oltre un milione e mezzo di foto) vuole rendere conto di ciò che succede quanto postiamo una nostra foto su Instagram. Perché alcune immagini vengono condivise più di altre? Quali sono i filtri più graditi dal pubblico di Instagram? Quali i soggetti?
Si tratta di domande che vanno ben oltre il profilo della curiosità, come si vede, e le cui risposte come al solito vanno prese con le pinze. Probabilmente, infatti, è vero che su Instagram ciascuno di noi ha una propria personalità, e nessuno vorrebbe cambiarla per assecondare i gusti di altri.
In fondo, su Instagram siamo tutti un po' artisti, non è vero?
Tuttavia, lo studio di Zarrella qualcosa ci può dire: ci può se non altro spiegare perché alcune personalità hanno più successo di altre. E tutto sommato, questa può essere anche qualcosa in più di una semplice curiosità.
Taggare, taggare, taggare
Chissà perché non mi stupisco quando leggo certe statistiche.
Un po' come accade su Twitter, dove fior di studi hanno dimostrato che la quantità di hashtag utilizzata ha un rapporto di proporzionalità diretta con il numero di retweet (#non #fatelo #a #casa, però!), su Instagram vi è un rapporto diretto tra tag utilizzati (per fortuna 30 è il limite insuperabile) e numero di cuoricini e commenti guadagnati da ogni immagine.Se poi veniamo alla didascalia, vediamo che le call to action pagano anche su Instagram.
Una foto con un invito esplicito al commento viene effettivamente commentata venti volte di più di una foto, la cui didascalia non contiene alcuna call to action.
Filtri e qualità fotografica

