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È uscito pochi giorni fa un bell'articolo sul blog ufficiale di Google Adwords relativo alla loro continua lotta contro le così dette bad ads: inserzioni pubblicitarie che vengono continuamente pubblicate sulla piattaforma di advertising di Google e che costituiscono a volte vere e proprie truffe e raggiri, altre volte semplicemente pubblicità furbette fatte allo scopo di promettere ciò che poi non si è in grado (o non si ha nessuna intenzione) di mantenere.
Perché è interessante il tema delle bad ads su Adwords?
A prescindere dal lato etico della faccenda - e chi mi conosce sa quanto io abbia sempre spinto in direzione di un marketing etico e di una deontologia professionale spesso disattesa da alcuni "colleghi" e da alcune aziende, la questione è interessante perché gli sforzi che compie Google in relazione alle bad ads sono gli stessi che impattano il nostro lavoro quotidiano, nel momento in cui dobbiamo appunto cercare di convincere i bot di Adwords che le nostre campagne pubblicitarie sono chiare e cristalline - prerequisito, questo, fondamentale per ottenere un buon punteggio di qualità sugli annunci che stiamo pubblicando. Insomma, le bad ads hanno un peso economico anche per gli "onesti", per cui è interessante secondo me capire di cosa stiamo parlando.
Un po' di storia: da cosa nasce l'idiosincrasia di Google per le bad ads
Iniziamo col dire che la mania di controllo di Google su quello che pubblichiamo nella sua piattaforma di advertising non ha motivi propriamente etici, ma nasce dall'esigenza pratica di chi, scottato una volta, non intendere ripetere l'esperienza.
Nel 2011, infatti, Google fu multata per ben 500 milioni di dollari - tanti anche per loro! - dal Dipartimento di Giustizia americano per aver ospitato degli ads di farmacie canadesi in cui si proponevano a prezzi scontatissimi, a clienti statunitensi, farmaci vietati negli USA. Secondo il governo americano, Google era pertanto pienamente responsabile delle azioni che i suoi inserzionisti compivano sulla sua piattaforma di advertising. Del resto, perché andare a cercare migliaia e migliaia di inserzionisti di dubbia legalità quando si può facilmente colpire il soggetto più ingombrante - e solvibile?
Da allora, la lotta di Google contro le bad ads è diventata una vera e propria lotta per la sopravvivenza.
Bad ads: cosa succede oggi
Google investe ormai risorse sostanziali nella difesa di se stessa (e dei suoi utenti) contro le bad ads, cercando in tutti i modi di combatterle per favorire i fair player, le piccole e grandi imprese che si rivolgono ai servizi di adwords per favorire la lead generation o la vendita online dei propri prodotti.
A farne le spese, sono quei merchant e quegli investitori che tentano di violare sistematicamente le direttive di Google Adwords relative all'advertising sulle proprie piattaforme, utilizzando tecniche di click-baiting, provando a vendere beni contraffatti o programmi contenenti malware o spyware, oppure facendo tentativi di phishing, o violando infine qualche norma relativa al copyright e alla difesa della proprietà intellettuale.
I risultati di questi investimenti si vedono nelle cifre: 524 milioni di bad ads sono state disabilitate in 150 paesi solo nel 2014, con oltre 700mila siti oscurati da Google Adwords e 33mila investitori bannati. Cifre impressionanti, frutto di controlli quasi completamente automatizzati.
Particolarmente interessanti, a questo proposito, sono gli annunci contenenti indicazioni sulla perdita di peso - un male del nostro tempo da cui Adwords non può evidentemente essere immune. Google ci informa, a questo proposito, che negli ultimi 18 mesi sono stati bloccati ben 2 milioni e mezzo di annunci che cercavano di allettare i consumatori con rimedi e integratori dietetici che promettevano miracoli impossibili.
Non male, c'è da dire, anche se basta poi guardarsi intorno per realizzare che su questo tema la strada verso una pulizia globale è ancora tutta da percorrere.