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Quanto della tua privacy saresti disposto a cedere in cambio di vantaggi economici?
Questa e altre domande sono al centro dei risultati di una ricerca condotta da EMC, che con il suo Privacy Index misura costantemente la percezione del concetto di privacy da parte dei cittadini (e consumatori) di tutto il mondo.
Iniziamo con il dire che, complessivamente, il concetto di Privacy non è ovunque oggetto di particolare fiducia da parte delle persone. Tutti ritengono, probabilmente a ragione, che la nostra privacy sia quanto mai bistrattata nel mondo contemporaneo, e che essa sarà sempre più minacciata dall'evolversi del mondo digitale. Alzi la mano, del resto, chi tra di noi non ha mai pronunciato frasi come: «Tanto controllano tutto», o «Su Internet la privacy non esiste».
La privacy, tuttavia, viene ancora vissuta come un bene da tutelare, soprattutto nei paesi europei. A livello globale alla domanda che ho posto all'inizio dell'articolo - «Saresti disposto a scambiare la tua privacy con dei vantaggi economici?» - solo il 27% delle persone risponde in modo affermativo. Tuttavia, le differenze a livello locale sono enormi. Se in India quasi metà della popolazione si dice favorevole a vantaggi economici in cambio del tracciamento delle proprie abitudini d'acquisto, questa percentuale scende al 33% in Giappone, al 21% negli USA e addirittura al 12% in Germania, la cui popolazione si attesta come la più "riservata" al mondo.
L'Italia, in questo contesto, si colloca curiosamente in una posizione intermedia, con un 29% di risposte affermative. In ambito europeo, infatti, l'Italia rimane la nazione dove c'è minore attenzione al tema della Privacy da parte della popolazione, con scarti importanti non solo rispetto alla Germania, ma anche alla Francia (15%), all'Olanda (23%) e al Regno Unito (18%).
Questo atteggiamento di fondo, unito alla contemporanea convinzione ormai diffusa che Internet sia soprattutto un mezzo sociale - oltre a una immensa vetrina virtuale - genera ovviamente dei comportamenti al limite del paradosso, subito riscontrati e formalizzati da EMC nel suo report, che individua appunto tre grandi paradossi legati al rapporto tra privacy e mondo digitale.
Paradosso della Privacy numero 1: «Voglio tutto»
I cittadini vogliono trarre il meglio dalla tecnologia e dalla digitalizzazione dei servizi. Vogliono poter accedere da casa al proprio conto corrente bancario, acquistare online, confrontare prezzi e prodotti, partecipare alla vita dei Social Media e avere parte attiva nella rivoluzione digitale che caratterizza il nostro tempo.
Tuttavia, vogliono fare tutto questo, per così dire, senza comparire, rimanendo nell'anonimato. La totale indifferenza nella quale è diventato legge il regolamento del garante della privacy sui Cookies emanato a giugno scorso ci dà del resto più di ogni altra statistica il quadro della situazione: il marketing viene visto come un potenziale nemico, come il Grande Fratello da abbattere, ma dei frutti del marketing digitale - a partire dalla possibilità di comparare prodotti e brand, trovare Punti Vendita vicino casa, acquisire dai Social Network informazioni sulla qualità percepita di un prodotto o di un servizio - non vogliamo e non possiamo più, ormai, fare a meno.
Paradosso della Privacy numero 2: «Non faccio nulla»
Quanto dicevo sull'indifferenza a proposito della recente regolamentazione dei Cookies ha anche un altro aspetto: il fatto che da un lato molti di noi ritengono che la Privacy sia un bene assoluto da difendere, dall'altro non facciamo nulla di attivo per difenderla.
Ogni volta che si pone il problema di una restrizione dell'uso dei dati personali (a partire dai dati anagrafici, indirizzo, telefono ecc.) questa tematica salta fuori con forza. Il motivo è noto: se da un lato siamo tutti restii a mettere una firma al consenso all'utilizzo dei nostri dati su un modulo, o abbiamo la curiosa abitudine di non mettere i nostri indirizzi e-mail sui form digitali, dall'altro - quando chiamati attivamente in causa - non alziamo un dito per compiere un'azione attiva di cancellazione da liste in cui risultiamo iscritti.
Pensate, ad esempio, a che livello di esasperazione devono portarci per portarci a richiedere la cancellazione da un newsletter - senza parlare di azioni più incisive, come la richiesta di essere inseriti nelle liste dei "non chiamabili" del Registro delle Opposizioni gestito dalla Fondazione Bodoni.
Nel mondo digitale, naturalmente, questo paradosso si amplifica a dismisura. Vediamo allora che il 62% delle persone mantiene inalterate nel tempo le proprie password, e che addirittura un utente su tre mantiene inalterati i settaggi standard relativi alla privacy sui Social Media, probabilmente senza neanche capirne le conseguenze.
Paradosso della Privacy numero 3: «Condivido sui social media»
Venendo appunto ai Social Media, qui siamo al più classico dei paradossi. Da un lato affermiamo di voler difendere i fatti nostri, le informazioni che ci riguardano, la nostra identità dagli abusi digitali. Dall'altro, siamo noi stessi che condividiamo indiscriminatamente sui social media le nostre idee politiche, i nostri spostamenti, le foto dei nostri familiari e in generale tutto ciò che riguarda la nostra vita, a volte senza nemmeno chiederci quale sia il livello di condivisione con il quale stiamo rendendo pubbliche tali informazioni sensibili.
Soprattutto, lo continuiamo a fare, nonostante la nostra diffidenza verso i Social Media quali istituzioni in grado di preservare la privacy delle nostre informazioni. Si dice che quando si posta una foto su Facebook, quella smette di essere di nostra proprietà per divenire appannaggio dell'impresa di Mark Zuckerberg. In un certo senso, questo è vero, poiché di fatto, se non si pongono dei limiti, la pubblicazione su Facebook equivale a affiggere un immenso manifesto murale: chiunque può passare e vedere cosa vi è rappresentato.
Se questo è vero, si comprende bene non solo come vi sia una diffidenza di fondo di fronte ai Social Media in quanto istituzioni in grado di tutelare la nostra privacy, ma soprattutto come questa diffidenza sia orientata non in senso tecnico, ma in senso etico. I Social Media, in sostanza, sarebbero perfettamente in grado dal punto di vista tecnico di tutelare i nostri dati, ma la nostra preoccupazione è che non ci sia da parte dei gestori alcuna volontà di farlo. Di qui, la profonda preoccupazione per il futuro della nostra privacy, che accomuna il 78% degli intervistati, a significare che la strada, secondo la percezione dei consumatori, è già segnata.
Conclusioni
Che conclusioni trarre da questo report, e dall'infografica che ne è scaturita (che riporto qui sotto)?
Anzitutto, che il rapporto digitale tra impresa e cliente dovrebbe chiaramente andare nella direzione di una solida rassicurazione sulla nostra volontà e capacità come azienda di tutelare i suoi dati - soprattutto, verrebbe da dire, in ambito B2C, e soprattutto nella gestione del rapporto con il consumatore mediante i Social Media.
Per quanto risulti paradossale, il comportamento del consumatore medio è infatti fortemente condizionato da un forte timore di fronte all'esposizione dei propri dati personali, e di fronte al loro conferimento ad aziende ed organizzazioni per la cui etica, sostanzialmente, non hanno alcuna fiducia.
Proprio la costruzione di un rapporto di fiducia che passi anche per un web marketing etico e per il rispetto della privacy del cliente, allora, sarà il compito primario del web marketing del prossimo futuro.